Bere birra, moderatamente, ridurrebbe i rischi cardiaci per le donne.
Ad affermarlo un autorevole studio dell’Università svedese di Göteborg pubblicato sulla rivista scientifica Scandinavian Journal of Primary Health Care. Per arrivare a questa conclusione i ricercatori hanno condotto un’indagine pianificata per durare addirittura mezzo secolo, ma che finora ha esaminato i risultati raccolti nei primi 32 anni, dal 1968 al 2000, anno in cui l’età delle donne era compresa tra i 70 e i 92 anni. Le 1.500 signore coinvolte sono state chiamate a compilare un questionario relativo alla frequenza di consumo di birra, vino e liquori e alle eventuali patologie sviluppate. Dall’esame dei dati è risultato che 185 intervistate hanno avuto un infarto, 162 un ictus, 160 hanno sviluppato il diabete e ben 345 sono state colpite da una forma tumorale.
L’intento degli studiosi era quello di capire quale fosse la correlazione tra il consumo di bevande alcoliche e lo sviluppo di diverse patologie. I dati hanno messo in risalto l’influenza dell’eccessivo consumo di alcolici sul rischio di contrarre il cancro, rispetto agli astemi o ai bevitori meno assidui, rischio che sale addirittura del 50%. Al contempo, però, i ricercatori hanno notato un dato davvero sorprendente: le donne che avevano l’abitudine di consumare birra, in misura moderata, hanno visto ridursi del 30% il rischio di infarto e di altri disturbi cardiaci, rispetto a coloro che non consumano affatto questa bevanda e alle assidue bevitrici. In particolare la quantità di birra indicata va da una e due volte a settimana e da una e due volte al mese.
La birra, quindi, tra le sue innumerevoli proprietà avrebbe anche quella di proteggere il cuore delle donne. Come hanno affermato gli stessi studiosi, in passato erano già state condotte altre ricerche sull’argomento, dalle quali era emerso che il consumo moderato di alcolici avesse effetti protettivi. Però, quest’ultimo studio, oltre ad aver evidenziato nello specifico quali sono questi benefici, è decisamente più autorevole proprio perché i risultati ottenuti sono convalidati dal confronto dei dati con altri fattori di rischio per le malattie cardiovascolari.